Venerdì 7 e sabato 8 maggio 2010
Contrada Baldazza, Linguaglossa (CT)
Seminario residenziale
Grazia Marchianò
Robert Mercurio
Werner Weick
Riccardo Mondo
Luigi Turinese
Come suggerito da Jung, al cuore del disagio di ognuno di noi, soprattutto nella seconda metà della vita, c’è un nodo religioso irrisolto.
Questo seminario si propone di evidenziare come ogni indagine del profondo non possa eludere la presa in esame di elementi spirituali.
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Le immagini del seminario
I relatori
. Ilcommento di Marisa Capace e Salvo Pollicina
“Se una volta soltanto tutto si facesse totalmente silenzioso!/
[…] se il clamore che producono i miei sensi/
non mi impedisse così tanto nella veglia-/
Potrei, allora, in un pensiero dalle mille forme/
pensarti fino al tuo confine […]”
In questi pochi versi, tratti dal Libro D’Ore , Rilke tratteggia, quella che potremmo definire, una coscienza rinnovata dal silenzio, giacché il silenzio ha reso possibile il multiforme pensiero dell’altro, che dilatando preme fino al suo confine.
Per tale ed altra ragione, immaginare un convegno su Elementi religiosi della cura comportava la ricerca accurata di un luogo propizio, silenzioso. La scelta di Contrada Baldazza , nella sulfurea, nigra bellezza del paesaggio etneo, ha permesso il confluire di ritmi disuguali in un solo respiro. Solo così la trance immaginativa ha trovato un vaso dentro cui germinare.
Il convegno ha avuto inizio.
Cosa non direste mai nel presentarvi – è stata la disvelante provocazione di Renata.
L’assente, il non-detto è stato subito evocato, divenendo occasione nel gruppo per personali rivelazioni, battute sagaci e scoppi di risa.
Nella tarda mattinata, le acute relazioni di Riccardo e Luigi, attenuate soltanto dalle battute gustose e dalla familiarità delle voci, hanno fatto transitare il gruppo verso un’altra soglia concettuale e immaginativa: Werner Weick ha presentato il suo straordinario video su Jung.
La mediterranea propensione al sorriso, il suo italiano perfetto, hanno fatto vacillare in noi l’ormai sedimentata fisiognomica svizzera, l’orbicolare rigidità teutonica. Pensate l’emozione nel chiedere notizie, curiosità, impressioni, a lui che ha intervistato e composto biografie dei grandi: Hermann Hesse, Marlene Dietrich tra gli altri; indimenticabili le inedite suggestioni su figli e congiunti di Jung.
Poi finalmente il pranzo (rigorosamente vegetariano) ha esaltato Eros col cibo.
Il pomeriggio si è animato della presenza di Robert Mercurio e di Grazia Marchianò: difficile immaginare un contrasto tanto umorale quanto teorico. Mercurio comunicava, con la sola presenza, l’esito felice dell’ opus individuativa. L’accuratezza e la vastità dei suoi svolgimenti teorici su Jung ed i temi del convegno, unita ad una rara disposizione immaginale, ha deliziato l’uditorio. La Marchianò ha prolungato verso oriente le enigmatiche epifanie del sacro, con un rigore intellettuale, una profondità ed una intensificazione espressiva nel gesto, che ci ha ricordato le impervie, magnifiche scogliere d’Irlanda, le Cliffs of Moher battute dall’Oceano.
Da quando lo sguardo verso l’avanti ha sostituito lo sguardo verso l’alto ( E. Bloch), l’anestesia di una durata indifferente, ha sostituito la baluginante ricettività dell’estasi contemplativa. Così la musica attraversandoci ha avuto, per i nostri sensi, l’effetto di un Gong. Durante il concerto serale di musica sufi, il più anziano del Siqiliah Ensamble ha parlato di un esotico flauto di canna, dove l’anima del musicista, soffiata fra i pertugi, col suono dava voce alla nostalgia della parte per la condizione originaria, allorquando essa era unita alla totalità, nel canneto.
In tarda serata, aggrumati (una parte) in ilare drappello, aizzato dal Puer, abbiamo affollato una stanza, che Cinzia aveva nel frattempo mutato in antro della Sibilla, per raccogliere conferme e vaticini dai tarocchi. E così tra papesse e imperatori, bagatti ed eremiti, gli arcani hanno accompagnato la via verso il sonno e i sogni.
La mattina ci ha raccolti sotto un albero di ulivo, nel brulicante, tacito verde, aprendoci al ritmo del paesaggio oscillante (tra oriente e occidente), coro multiforme di montagne e acque come nell’ ideogramma giapponese per designarlo, e gioco della quaternità elementare cara all’occidente.
Allora, come lo sciamano, abbiamo intuito “il mondo come danza, intreccio degli elementi, (…) terra ed acqua rette dall’aria, ritmi sonori essenza d’ogni cosa visibile, d’ogni umida terrestrità” (Zolla).
E’ incredibile come la natura abbia modificato i corpi, il gesto, i pensieri ed il modo di esprimerli tanto nei relatori come nei componenti il gruppo. Ma perché sorprenderci: non è forse “La religione” –come scrive Jung- “un’osservanza accurata e scrupolosa del _numinosum- … essenza … non originata da alcun atto arbitrario della volontà” che “afferra e domina il soggetto umano “ ; e non è forse la cura l’atto di redenzione originato da questo contatto e vocato a compimento da un personale, intimo abbandono?
Ora immaginate liquido il racconto, versato tra due sponde, scorrere, curvarsi e scomparire.
Salvo Pollicina
Marisa Capace
I partecipanti
I musicisti
Genius loci
“Tutte le cose hanno un loro sogno” (Pensiero degli aborigeni australiani)
Il Tempio del Sogno
C’era una volta, in un giorno pieno di sole, un grande raduno sulle pendici di una montagna che si chiamava Lingua Glossa . Affacciava su uno specchio d’acqua, che non era un lago naturale, ma era stato creato artificialmente per ricordare agli uomini che la realtà è leggibile solo attraverso gli opposti. Arrivarono in molti anche da lontano, perché volevano rispondere alla chiamata di due uomini illuminati che cercavano di riflettere insieme ad altri saggi sul senso nascosto della vita. La gente infatti, aveva dimenticato l’orgine religiosa della cura e per questo si ammalava e non trovava più la soluzione.
Quando furono tutti raccolti in un’antica stanza di pietra con massicce travi di legno, ognuno fece la sua presentazione raccontando la sua storia e le ragioni per cui era lì. Poi arrivò un uomo giusto che si chiamava Weick, e che aveva molto viaggiato raccogliendo le storie di altri uomini speciali. Uno di questi era Jung, uno di quelli che aveva cercato a lungo ed autenticamente il senso della vita. Il saggio Weick fece vedere attraverso delle immagini molto intense, la capacità del vecchio Jung di far defluire l’acqua da ogni canale per farlo ritornare alla fonte: il grande fiume della vita.
Nel bel mezzo della giornata arrivarono due personaggi strani, uno si chiamava Bob, l’altra Alyce, i due cominciarono a discutere insieme sul tema della visione. Bob diceva che bisognava sempre guardare la vita dal punto di vista pratico e concreto, saper leggere i dettagli, non perdersi nella metafisica, la vita è qui ed ora e non bisogna cercare altrove. Alyce invece non era d’accordo, diceva che le cose non stavano proprio così, che la realtà è molto più ampia e che lo sguardo deve rivolgersi al cielo. Entrambi continuarono a disquisire senza trovare una conciliazione, un punto di vista comun;, sembrava che le ragioni del raduno fossero perse, i saggi se ne sarebbero andati quindi a mani vuote, senza una soluzione per la malattia degli uomini.
In quel momento ci fu un grande scroscio d’acqua, una tempesta di suoni cominciò a scendere dal cielo, una musica dolce avvolse tutti i partecipanti che iniziarono ad intonare un canto che fece disperdere la precedente dissonanza per lasciare spazio ad un senso di pace. Arrivò la notte, ma la soluzione ancora non era stata raggiunta.
Il giorno dopo tutti i partecipanti rinvigoriti dal riposo si riunirono all’aperto sotto un grande albero e fu allora che la saggia Marchianò venuta dall’Oriente, raccontò la sua visione del lupo e della pecora che si incotrano in un solo istante, in cui non è né questo né quello, ma tutto è indistinzione. In quell’istante dove tutto è possibile e dove il guaritore può trovare lo spazio per passare, quel piccolo interstizio in mezzo alla duplicità. Quelle parole passaro magicamente attraverso l’interstizio della mente-cuore e si aprì la visione, tutti cominciarono a raccontare i propri sogni. In particolare Bob, disse di aver visto una bicicletta alzarsi e camminare su una strada che costeggiava il mare, su la sola ruota posteriore tenendosi con il manubrio. Questo significava aver integrato la posizione di Alyce, la ruota posteriore rappresentava la dimensione nascosta, quella che sta dietro e che a volte lui non si accorgeva di avere, in quel modo aveva provato a tenerne conto, ma aggiunse anche che non sempre è necessario questo particolare assetto, anzi a volte è meglio andare in quello più comodo a due ruote, per evitare di cadere. A volte bisogna anche dimenticare la ruota posteriore, ma in ogni caso era necessario procedere con entrambe.
A questa voce si unì un coro di altre voci, ognuno con la sua visione da accostare a quella dell’altro, fino a comporre un unico disegno che assumeva la forma di un mandala in continuo movimento che si animò nel vento e nel sole. Si videro le valli e le montagne, le pianure e le foreste, si tenevano stretti insieme l’amore e l’odio, la paura e il coraggio, la gioia e la tristezza. E nello stesso tempo, la pietra e l’acqua, il fuoco e il vento, ogni cosa assunse il suo particolare modo d’essere, la sua personale natura, ognuno trovò la sua propria forza e divenne consapevole della sua anima e del suo spirito.
Tutto sembrava essere al proprio posto, ogni fiore, ogni pianta, ogni singola foglia, si erano sentiti curati con amore, ogni cosa era parte e contribuiva alla festa della bellezza.
Cinzia Caputo
Il racconto dei sogni
Un momento del concerto di Siqiliah Ensemble
■ Pubblicato il 10 May 2010, 15:03 da
G. T.
■ Modificato il 15 August 2010, 17:05 da
G. T.
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